Le specie di vertebrati

Uccelli

Sono ben 175 le specie segnalate. Tra le specie più colorate ricordiamo la Ghiandaia marina, l’Upupa e il Gruccione. Tra gli uccelli tipici degli ambienti boschivi ci sono il Picchio verde e il Picchio rosso maggiore. Nei prati troviamo invece l’Allodola, la Calandrella e l’Occhione. Tra i rapaci i più comuni sono il Gheppio e la Poiana, ma durante le migrazioni può capitare anche di osservare l’Aquila dei serpenti, ossia il Biancone, e l’Astore. Nella principale zona umida, la diga Capaccio, troviamo in inverno molteplici specie di anatre, sia tuffatrici che di superficie, così come cormorani, oche selvatiche e gru.

 

Il Nibbio Reale

Alzando lo sguardo al cielo può capitare di poter osservare nel blu intenso, un uccello inconfondibile, grande, dalle lunghe ali con un’apertura fino a 160- 170 cm che presentano le tipiche “finestre” bianche del “sotto ala”, molto evidenti in volo. Questi uccelli scivolano veloci aprendo e ruotando ora a destra ora a sinistra la loro coda biforcuta, per poi improvvisamente sfrecciare rapidi con imprevedibili picchiate con cui si tuffano nei verdi campi di grano, fino a sfiorarli, per poi velocemente riconquistare il cielo.

Questi domatori del vento, che da molti sono considerati i rapaci più eleganti del vecchio continente, utilizzano con grande maestria le correnti termiche ascensionali disegnando nell’aria lente spirali che si perdono tra l’azzurro, superando i brulli crinali. Sono i nibbi reali, un tempo comuni anche in questa parte dei monti Dauni ma da tempo ormai diventati purtroppo una presenza rara. Lo status di conservazione di questa specie, a livello globale, è prossimo alla minaccia secondo l’IUCN.

International Union for Conservation of Nature and Natural Resources, 2010.

 

Pesci

La specie tipica presente è l’Alborella. Altre specie, per lo più frutto di discutibili interventi di immissione sono: il Carassio, il Cavedano, il Barbo, il Persico Sole, la Gambusia.

 

Rettili

Sono presenti 14 specie: la Testuggine comune, la Testuggine palustre, il Geco verrucoso, il Geco comune, il Ramarro, la Lucertola campestre, la Luscengola, l’Orbettino, il Biacco, il Saettone, il Cervone, la Biscia dal collare, la Biscia Tassellata, la Vipera comune.

 

Anfibi

Sono 9 le specie certe ad oggi segnalate: il Tritone crestato meridionale, il Tritone italico, l’Ululone appenninico, il Rospo comune, il Rospo smeraldino, la Raganella meridionale, la Rana agile, la Rana appenninica, la Rana verde italiana. La Salamandra pezzata, un tempo segnalata per il comprensorio, risulta probabilmente estinta non essendo più osservata da molti anni. Di recente invece sono arrivate segnalazioni, in aree vicine, circa la presenza della Salamandrina dagli occhiali.

 

Mammiferi

Malgrado l’assenza di studi specifici, in particolare sui micromammiferi (che comprendono insettivori e roditori) sono oltre 20 le specie ad oggi conosciute di Mammiferi presenti nella valle del Celone. Tra i micromammiferi il gruppo meno conosciuto è quello dei chirotteri o pipistrelli, di certo sono diverse le specie che frequentano sia i boschi e ruderi della Valle del Celone. Alcune specie di Mammiferi sono di rilevanza regionale e nazionale come il Lupo, il Gatto selvatico la Puzzola i Chirotteri . Altre più comuni come: la Faina, il Toporagno appenninico, il Moscardino, il Ghiro, la Lepre europea, il Cinghiale, ecc.

 

Il Lupo

Un ovattato suono di foglie calpestate interrompe il canto ripetuto del pettirosso, poi il silenzio, ed ancora fruscii accompagnati da un improvviso secco rumore di un rametto spezzato che rimbomba nei sensi, acuiti dall’attesa dell’imminente nuovo giorno. Il fiato ritmato si condensa e riempie lo spazio, odori intensi si incrociano raccontando di lepri, cani e uomini.

E’ tempo di muoversi seguendo un’antica pista, falcata dopo falcata si approssima il margine del bosco, un muro verde che si apre sui campi… ancora un attimo di prolungata quiete accompagnato dalle prime folate di vento che squarciano la bassa nebbia mattutina, facendo filtrare i primi raggi di sole ed ecco un luccichio, due penetranti occhi di un intenso castano scrutano attenti l‘orizzonte perché qualsiasi disattenzione potrebbe causare una precoce fine… l’uomo può colpire da lontano con quelle lunghe canne da cui sibilano fuori fuoco e palle che bruciano, lacerano e uccidono, o un passo sbagliato e potenti morse di metallo aguzzo possono lacerare e spezzare le ossa.

E’ tempo di fermarsi nella macchia più fitta per riposarsi ed aspettare il ritorno della notte e solo allora, protetti dalla diafana luce lunare, solitarie ombre snelle seguiranno i profili dei boschi e delle vallate, vagando per questa terra sempre più difficile da decifrare e capire, dove gli odori delle antiche prede sono solo un ricordo ancestrale.

Ci sono ben pochi animali predatori, come il Lupo, che hanno intrecciato così tanto le loro sorti con l’uomo, in un rapporto spesso tragico, basato sull’invidia per la forza e la libertà che gode questo straordinario predatore sociale. Un rapporto intriso di crudeltà e sangue a scapito principalmente di uno solo dei contendenti: il Lupo. Questo canide selvatico, nell’immaginario umano è sempre in bilico tra divinità positive e negative, il Lupo piegato ai voleri dell’uomo e che si tramuta nel suo migliore amico, il Cane.

L’Uomo che s’inchina alla natura selvaggia e si trasforma in un licantropo. Il Lupo predone, il Lupo silenzioso, il Lupo genitore e fondatore, il Lupo specchio della turbolenta anima umana, il Lupo che in ogni sua recondita sfaccettatura è il simbolo della forza della vita, ma al contempo rappresenta la parte oscura dell’animo umano, Homo homini lupus.

Facendo un salto indietro nel tempo, Zenobio, un sofista greco del II° secolo d.C., asserì: Il lupo è sempre sotto accusa, colpevole o meno che sia. Tutto questo astio nei confronti del Lupo crebbe esponenzialmente passando dall’età classica a quella moderna. Infatti, nel secolo breve, 6 forse 7 sottospecie del Lupo grigio (Canis lupus) sono stati cacciati fino all’ultimo esemplare. Il Lupo, malgrado tutto, riesce ancora ad essere fra noi nei Monti dauni e forse questo miracolo può essere mirabilmente sintetizzato da un proverbio russo: “un Lupo sopravvive grazie ai suoi piedi”.



Vincenzo Rizzi